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Patto di famiglia

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Le operazioni da compiere

 

La nuova disciplina del patto di famiglia prevede una pluralità di operazioni per realizzare lo scopo della trasmissione generazionale dell’azienda di famiglia:

a) il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni al capitale sociale da parte dell’imprenditore ad alcuno dei suoi discendenti;

b) la liquidazione degli altri familiari non continuatori dell’impresa di famiglia da parte dell’imprenditore che dona l’azienda oppure da parte dei discendenti che hanno conseguito l’attribuzione dell’azienda.

Perchè dunque si abbia un “patto di famiglia” nel senso voluto dalla nuova legislazione appena introdotta, occorre che:

* il disponente sia titolare di una attività d’impresa individuale o di un pacchetto di partecipazioni societarie;

* il beneficiario o i beneficiari dell’attribuzione dell’azienda o delle partecipazioni siano soggetti qualificabili come “discendenti” del disponente (e che quindi si tratti dei suoi figli, anche adottivi, oppure dei suoi nipoti e cioè dei figli dei suoi figli); altri famigliari, quali ad esempio i genitori, il coniuge e i fratelli del disponente non sono pertanto soggetti ritenuti dalla legge idonei alla stipula del patto di famiglia;

* al patto partecipino coloro che sarebbero qualificabili come legittimari del disponente se egli morisse nello stesso momento in cui il patto di famiglia viene stipulato: si tratta del coniuge, dei suoi figli (e, in caso di loro premorienza, dei discendenti ulteriori) e degli ascendenti, cioè i genitori se mancano i figli; il patto di famiglia quindi non coinvolge i fratelli dell’imprenditore, il suo convivente, e nemmeno zii, cugini e altri parenti.

La nuova disciplina del patto di famiglia cerca infatti di realizzare lo scopo di favorire il passaggio generazionale delle aziende familiari con il minor sacrificio possibile dei familiari non partecipi dell’attività aziendale; pertanto, essa è caratterizzata dalla ricerca del trattamento meno sperequativo possibile tra il familiare destinatario dell’azienda e gli altri suoi parenti.

La legge dunque prevede che l’attribuzione dell’azienda sia “compensata” con un’attribuzione in denaro o in natura a favore di coloro che sarebbero i legittimari dell’imprenditore (a meno che, ovviamente, costoro non vi rinuncino in tutto o in parte).

L’attribuzione ai familiari non beneficiari dell’azienda o delle partecipazioni può essere effettuata sia da colui che dona l’azienda sia dal discendente dell’imprenditore che beneficia dell’attribuzione dell’azienda o delle partecipazioni: limitare a questo ultimi il compito di effettuare questa compensazione sarebbe una soluzione praticamente irrealizzabile nella maggior parte dei casi; invero, di regola, l’età dei beneficiari dell’attribuzione dell’azienda o delle partecipazioni è piuttosto giovane e il loro personale patrimonio è tendenzialmente privo delle risorse sufficienti per far fronte alle esigenze di “compensazione” dei familiari non beneficiari dell’ attribuzione dell’azienda o delle partecipazioni; infine, il valore dell’azienda è spesso assai elevato e una “compensazione” che soddisfi le esigenze dei familiari non beneficiari richiede la disponibilità di una somma di notevole entità, che spesso nemmeno vi è nel patrimonio dell’imprenditore donante (e tanto meno la si ritrova nel patrimonio del discendente donatario).

Si tratta spesso quindi di reperire le risorse per consentire la stipulazione del patto di famiglia e quindi per permettere la soddisfazione anche dei familiari non imprenditori.  La necessità è pertanto quella di finanziare il discendente dell’imprenditore, beneficiario del trasferimento dell’ azienda: ora, o si ipotizza che costui monetizzi qualche cespite aziendale (o personale) e, con il ricavato da questo “spezzatino”, liquidi il dovuto ai familiari non imprenditori; o si ricorre al sistema bancario, ambito ove entra in campo il tema delle garanzie da concedere per ottenere credito.

La soluzione più facile è quella di offrire ipoteca su beni personali o aziendali oppure di concedere il pegno sulle partecipazioni al capitale sociale dell’impresa di famiglia. Ma si possono ipotizzare anche soluzioni più complesse utilizzando il classico schema delle operazioni di leveraged buy out, e quindi:

a) costituzione di una nuova società (la cosiddetta newco) che viene indebitata mediante la concessione di un finanziamento bancario;

b) l’acquisto da parte di newco del capitale sociale della società-bersaglio (la cosiddetta target, e cioè l’azienda di famiglia) utilizzando, quale prezzo (da corrispondere al discendente donatario delle partecipazioni), il ricavo dell’erogazione del finanziamento bancario;

c) la concessione in pegno, dalla newco alla banca, delle partecipazioni nella target;

d) la fusione di target in newco, di modo che il flusso finanziario necessario a pagare le rate del mutuo provengano dalla stessa attività di target.

Con il prezzo così percepito per la vendita delle sue partecipazioni, il discendente donatario può alfine soddisfare le pretese economiche degli altri legittimari dell’imprenditore donante.

 

Ultima Modifica: 08/02/2016