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Minori stranieri

Per la legge italiana, sono “minori”  - cioè incapaci di compiere  efficaci atti giuridici - tutte le persone che non hanno ancora compiuto il 18° anno di età.

Proprio per la giovane età, i minori - secondo il diritto italiano -  meritano una particolare protezione, in quanto non ancora in grado di provvedere da soli a se stessi, né materialmente né moralmente.

Quando i “giovani” siano stranieri (o figli di stranieri), però, il diritto  italiano prevede che si debba verificare se anche la loro “legge nazionale” li consideri “incapaci” e quindi se abbiano bisogno, per partecipare ad atti giuridici, di autorizzazioni di giudice e/o dell’intervento di adulti che presumibilmente agiscano a tutela degli stessi giovani (artt. 23 e segg. legge 218/1995).

Il nostro sistema di diritto internazionale privato prevede, però, che se la legge che regola un determinato atto pone delle prescrizioni particolari di capacità, si applica tale legge anche in deroga alla legge nazionale del giovane.

Inoltre, la stessa legge 218/1995 accetta il c.d. “rinvio indietro”: è possibile, cioè, che la legge nazionale del giovane (a cui si fa riferimento in virtù dell’art. 23 della legge 218/1995) “rimandi” la questione della capacità ( cioè stabilire se un giovane deve considerarsi capace oppure no) alla legge che regola l’atto a cui dovrebbe partecipare il minore, ovvero alla legge del luogo in cui si trovano i beni che sono oggetto dell’atto stesso. Ecco che, in tali casi, si potrebbe quindi fare nuovamente riferimento alla legge italiana, considerando incapace (solo) colui che non ha compiuto il 18° anno di età.

In generale, per quanto riguarda la protezione dei minori, essi per il diritto italiano sono  in genere affidati alla protezione legale dei genitori; o, se questi mancano per qualunque motivo, a quella di tutori nominati dall’autorità giudiziaria. L’art. 36 della legge 218/1995 dispone, però, che anche i rapporti tra genitori e figli siano – in principio – regolati dalla legge nazionale del giovane.

L’art. 42 della legge 218/1995 prevede, tuttavia, che la protezione dei minori  sia in ogni caso regolata dalla relativa Convenzione dell’Aja del 5/10/1961, resa esecutiva in Italia dalla legge 742/1980 (depositata il 22/2/1995).

La Convenzione prevede che le misure protettive per il minore vengano emanate dalle autorità del Paese di “abituale residenza” del minore stesso. Non esiste una esatta definizione né di quali siano le misure protettive né di come si individui la “residenza abituale del minore”. Si ritiene, quanto alle prime, che si debba interpretare la norma in modo ampio, ricomprendendo tutti i provvedimenti che abbiano lo scopo ed il risultato di proteggere il minore: quindi la nomina di un tutore o curatore, l’affidamento ad una famiglia o istituto, i provvedimenti relativi al minore in caso di separazione o divorzio dei genitori.

Restano escluse le misure relative ad adozione ed alimenti, per i quali la Convenzione prevede norme apposite.

Per individuare la residenza, si fa riferimento esclusivamente al luogo in cui il minore - non altri soggetti, neppure i genitori - ha i suoi affetti ed i suoi interessi.

La convenzione si applica anche a coloro che sono considerati minori solo dalla loro legge nazionale, ed anche se appartengono a Paesi che non hanno aderito alla Convenzione.

Restano salvi gli eventuali provvedimenti cautelari adottati dal Paese di origine del minore.

Infine, va ricordato che l’Italia ha aderito anche alla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori.