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Le differenze tra trust e vincolo di destinazione

Uno dei primi quesiti che l’interprete si trova a dover risolvere con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 2645-ter del Codice civile è quello della identità o meno tra il vincolo di destinazione e il trust.

Da un primo esame della nuova disposizione introdotta dal legislatore italiano sembra emergere una sostanziale differenza tra le due figure, anche se non è affatto da escludere che vi siano alcuni casi in cui, in concreto, i due istituti possano assai simili.

Un prima fondamentale differenza rispetto al trust è che la nuova normativa in tema di vincoli di destinazione non prevede la partecipazione all’atto istitutivo del vincolo di due soggetti distinti, mentre il trust – quale schema tradizionale – è incentrato sulla partecipazione di due soggetti: il disponente (settlor) ed il trustee. D’altro canto, è altrettanto vero che esiste la possibilità per il settlor di dichiararsi trustee dei beni che vengano fatti confluire nel trust (si tratta del cosiddetto trust autodichiarato) così come non si può assolutamente escludere che all’origine del vincolo di destinazione contemplato dall’articolo 2645-ter del Codice civile vi sia un atto bi- o pluri-laterale, anziché la volontà unilaterale di un solo soggetto finalizzata ad imprimere ad alcuni beni un certo vincolo. Si pensi, ad esempio, ad un gruppo di fratelli che al fine di proteggere i beni di famiglia (la villa, il parco e le tenute avite) dalle conseguenze di eventuali vicende negative che interessino l’attività imprenditoriale da ciascuno esercitata – e di far sì che i loro discendenti possano continuare a goderne – decidano di trasferirli ai rispettivi figli, obbligando costoro ad imprimere ai beni ricevuti un determinato vincolo di destinazione (legato alla finalità di preservazione e godimento comune del patrimonio familiare).

Analogamente, si potrebbe ipotizzare il caso del libero professionista che, per mezzo di un negozio unilaterale, vincoli alcuni beni del suo patrimonio alla realizzazione degli interessi dei propri figli minori, assicurando loro un sicuro mantenimento fino all’età adulta ed indipendentemente dalle possibili ripercussioni pregiudizievoli che possano riguardare il suo patrimonio.

E’ chiaro che in questi ultimi casi le differenze tra trust e vincolo di destinazione tendono ad affievolirsi, ma non ad azzerarsi.

Una seconda non trascurabile differenza tra vincolo di destinazione e trust riguarda i beni che possono essere formare oggetto del negozio che ne sia all’origine: solo beni immobili o mobili registrati nel caso del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del Codice civile, generalmente qualsiasi bene nel caso del trust (e dunque non solo beni immobili, ma anche mobili non registrati, partecipazioni societarie, titoli di credito, etc.).

Anche la durata costituisce un elemento distintivo importante tra le due fattispecie: per espressa disposizione legislativa il vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter del Codice civile non può superare i novant’anni o la durata della vita della persona fisica che ne risulti beneficiaria, mentre nel caso del trust la durata dipende dalle previsioni della legge regolatrice che ad esso sia applicabile.

Anche la forma dell’atto istitutivo di un vincolo di destinazione e di quello di un trust non può dirsi coincidente: nel primo caso la disposizione legislativa contempla unicamente gli atti in forma pubblica (con ciò imponendo l’adozione di una determinata forma), mentre nel caso del trust le regole sulla forma sono piuttosto varie, a volte imponendo l’adozione della forma scritta, a volte non prescrivendo l’adozione di una determinata forma, che quindi finirà con il dipendere dalla natura dei beni che formino oggetto dell’atto istitutivo del trust.

Gli elementi distintivi tra vincolo di destinazione e trust non sono di poco conto; anzi, paiono tali da indurre a concludere che la fattispecie contemplata dall’articolo 2645-ter del Codice civile ed il trust siano istituti da tenere ben distinti.

Il punto cruciale, se mai, è un altro, e cioè se la trascrivibilità del vincolo di destinazione introdotta dal legislatore con l’articolo 2645-ter del Codice civile possa consentire di dare una risposta definitivamente positiva in merito alla possibilità di stipulare trust interni (ovvero i trust stipulati in Italia, da cittadini italiani e con riferimento a beni situati nel nostro Paese) o se invece, anche se pare meno probabile, l’introduzione del vincolo di destinazione verrà interpretata come “sostitutiva” dei trust interni e dunque ostativa ad una loro configurabilità.

Ultima Modifica: 10/02/2007