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Patto di famiglia

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I legittimari sopravvenuti

 

La nuova legge dispone, quale requisito essenziale del patto di famiglia, che ad esso, oltre all’imprenditore,  «devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore» (i legittimari dell’imprenditore sono il coniuge e i suoi figli; se i figli siano premorti, legittimari divengono i loro discendenti, cioè i nipoti dell’imprenditore; in mancanza di discendenti divengono legittimari anche gli ascendenti dell’imprenditore e cioè i suoi genitori e i suoi nonni): è quindi da ritenere innanzitutto che il patto di famiglia non sia valido (cioè sia nullo) in mancanza di questa totalitaria partecipazione.
Senza voler pensare alla difficoltà pratica che, in taluni casi, si potrebbe presentare per il fatto che vi sia un legittimario non noto agli altri partecipi del patto (è il caso del figlio nato fuori dal matrimonio dell’imprenditore, da lui riconosciuto all’insaputa degli altri suoi familiari), ci si deve occupare del più realistico caso in cui, in epoca posteriore alla stipula del patto di famiglia, sopravvengano soggetti che assumano la qualifica di legittimari al momento del decesso dell’imprenditore. Si pensi al caso che, successivamente alla stipula del patto l’imprenditore celibe o vedovo si sposi lasciando a sè superstite il coniuge; oppure che l’imprenditore coniugato divorzi e contragga un nuovo matrimonio; oppure infine che l’ imprenditore più semplicemente abbia nuovi figli (anche adottivi).

Quando dunque l’imprenditore muore, costoro si trovano sfavoriti per non aver partecipato alla stipula del patto di famiglia: e allora la nuova legge dispone che costoro possono chiedere ai beneficiari del patto (il discendente assegnatario dell’ impresa e gli altri familiari che abbiano avuto attribuzioni “in compensazione”) il pagamento di una somma pari alla quota che sarebbe loro spettata se avessero partecipato al patto, aumentata degli interessi legali.

Ora, se a livello di principio è da giudicare senz’altro opportuno che il legislatore abbia affrontato questa tematica e ne abbia imposto la soluzione nei termini appena accennati, l’ effettuazione pratica di queste sistemazioni non sembra di facile gestione, anche perchè la disciplina che il legislatore ha dettato è assai carente e lacunosa.

Il primo problema è ovviamente quello di determinare la base di calcolo della quota spettante al legittimario sopravvenuto (si pensi ad esempio al coniuge dell’imprenditore cui in ipotesi spetti la quota di legittima di un quarto): è facile calcolare, dopo un numero di anni che può anche essere assai alto, il valore dell’azienda donata all’epoca in cui fu donata (e quindi nella consistenza che essa allora aveva) ? e quale criterio va utilizzato, tra i molti metodi di valutazione aziendale disponibili, per determinare il valore della specifica azienda che venne fatta oggetto del patto di famiglia ?

Altro non indifferente problema è quello di determinare chi sia il debitore del familiare sopravvenuto: per regola generale, pluralità di debitori significa solidarietà (articolo 1292 del codice civile) e quindi possibilità del creditore di escuterne, “a piacimento”, uno qualsiasi; ma, trattandosi di pagamenti che possono essere di notevole entità, in ipotesi da effettuare anche dopo decine di anni, chi partecipa ad un patto di famiglia deve precostituirsi e mantenere, vita natural durante, una corrispondente provvista ? La risposta è positiva, ma è pure imbarazzante.

Ultima Modifica: 08/02/2016